La clamorosa sentenza di appello del processo Atlantic city mette quasi definitivamente la parola fine a una vicenda che ha caratterizzato in via quasi esclusiva gli ultimi tre anni di storia giudiziaria della città di Lucera, ad eccezione delle questioni di carattere politico-amministrativo. Al termine di due procedimenti, l’unico reato accertato e punito (oltre a minacce, incendio e porto d’arma) resta di fatto quello dell’omicidio di Fabrizio Pignatelli, per il qualeVincenzo Cenicola aveva ammesso di aver fatto fuoco nei confronti del coetaneo, ma senza il chiaro intento di voler uccidere. La sua tesi, e quella dei suoi avvocati Giancarlo Chiariello e Paolo Ferragonio che hanno parlato di “proiettili rimbalzati dal pavimento”, è stata in effetti accolta dalla Corte che ha ammesso l’omicidio preterintenzionale e tutte le attenuanti possibili, riconoscendo quindi un’azione univoca e solitaria con la conseguenza dell’assoluzione del fratello Mario che per l’accusa aveva invece svolto un ruolo fondamentale in quei minuti tra le 19 e le 19.30 di quel terribile 30 agosto 2011 quando tacquero le bocche e parlarono le pistole.
La sentenza ha inoltre evidenziato una netta divergenza di visione e soprattutto considerazione delle contestazioni tra la magistratura giudicante e quella inquirente, visto che anche in appello non sono state accordate pesanti condanne che pure erano state richieste, sebbene in un’ottica di esclusione del contesto di associazione a delinquere che in effetti è sempre difficile dimostrare.
Al di là delle posizioni relativamente marginali o per reati di minore entità, l’altro elemento di grande rilievo resta la doppia assoluzione attribuita ai quattro carabinieri che operavano a Lucera, arrestati la notte del 18 settembre 2012 con relativa reclusione nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere per periodi variabili dai 23 giorni (7 in isolamento) per Giovanni Aidone, Michele Falco e Giuseppe Sillitti ai 66 giorni di Luigi Glori, tutti passati anche da un giudizio favorevole prima del tribunale del Riesame e successivamente della Cassazione proprio in relazione alla loro detenzione.
“E’ stato un processo orribile e spinoso – ha commentato l’avvocato Giacomo Grasso, difensore dei quattro carabinieri ma anche di Antonio Petrone e Antonio Cenicola – fin dal principio e per innumerevoli motivi, ma raccolgo con favore e rinnovata soddisfazione la sentenza assolutoria che di fatto, confermando il risultato già ottenuto alla Corte di Assise di Foggia, restituisce libertà e giustizia a tutti gli imputati. Ogni istanza difensiva è stata totalmente accolta e già dalle richieste iniziali formulate dal Pg si era bene inteso la incondivisibilità formale e sostanziale promossa dal pm di Foggia. Attendiamo con ansia la lettura delle motivazioni, in modo da adottare le prossime iniziative che già stiamo valutando assieme a tutti i miei assistiti”.
“Il pronunciamento della Corte rappresenta una vittoria di tutto l’avvocatura coinvolta nel doppio processo – ha commentato Raffaele Lepore, presidente della Camera Penale di Lucera e difensore di Paolo Mainieri – nel quale ha battagliato con ostinazione ottenendo il riconoscimento delle proprie tesi”.
“La sentenza rispecchia quelle che erano le nostre attese fin dall’inizio – ha aggiunto il collega Paolo Ferragonio che difende quasi tutta la famiglia Cenicola – perché il procedimento era nato male, già corretto a Foggia in primo grado e oggi giustamente definito. Dopo la lettura delle motivazioni della sentenza, valuteremo un eventuale ricorso per Cassazione per la posizione di Vincenzo Cenicola per il quale, al momento, la pena inflitta appare congrua”.
Articolo pubblicato su Luceraweb.
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